Abbiamo ricevuto la testimonianza di Elisa che ci ha scritto per rispondere ad una nostra richiesta di collaborazione, rivolta a tutte le mamme, compagne e mogli di militari, alle quali abbiamo chiesto di condividere le loro esperienze di gravidanza e parto con un partner in missione. Un’attesa nell’attesa, in poche parole. L’articolo lo stiamo ancora lavorando, ma questa testimonianza, a nostro avviso, tratta di un argomento ben più complesso, il ricongiungimento familiare e di un altro argomento ad esso strettamente correlato, il pendolarismo. Merita pertanto di essere pubblicata così come ci è giunta: l’appello di una mamma che desidera solo il ricongiungimento del proprio nucleo familiare sotto lo stesso tetto, per regalare finalmente, dopo anni di distanza e visite a singhiozzo, un po’ di stabilità, serenità e pace alla sua bambina, che per prima paga le conseguenze di una normativa vigente lacunosa in materia e incurante di quello che è il diritto di famiglia, sancito e tutelato dalla nostra Costituzione.
“Buona sera a tutti,
ho letto su Facebook che è’ vostra intenzione scrivere un articolo riguardo le nostre esperienze e le nostre storie nell’affrontare la gravidanza con un marito che presta servizio nelle Forze Armate. Io sicuramente rispetto a molte altre donne sono stata fortunata perché mio marito fortunatamente non si trovava in missione in quel periodo, ma comunque non era sempre presente poiché lavora a 700 km di distanza da me e tante volte non poteva accompagnarmi alle ecografie ed era tremendamente triste dover affrontare le continue visite e controlli senza di lui. Dover condividere per telefono o per messaggio l’emozione che vivevo nel vedere la mia bimba, senza far pesare tutto questo a lui. Perché sicuramente per lui era molto più difficile. Sono passati nove mesi e la nostra cucciola è venuta al mondo. Fortunatamente anche mio marito era presente. La nostra bimba ora ha 9 mesi e solo adesso capisco che la cosa più difficile non è tanto la gestione della gravidanza, quanto invece crescere la nostra bambina con il papà lontano da noi. Devo fare in modo che lei non scordi il suo volto e il bene che le vuole ed è tremendo vederla toccare lo schermo quando facciamo le video chiamate o sentirla piangere quando sente la voce del suo papà per telefono. Ancora peggio è dover recuperare settimane di assenza, in soli due giorni e poi restare di nuovo nella nostra casa vuota senza di lui, vedere mio marito chiudere la porta di casa con i suoi occhi pieni di lacrime e dover ritrovare la forza per non far soffrire una bambina così piccola. La cosa che mi da più rabbia è che nessuno a livello istituzionale capisca tutto questo, che nessuno faccia in modo che questi papà, mariti o fidanzati che siano, possano avvicinarsi ai propri cari dopo aver prestato servizio per tanti anni fuori dalla propria regione. Sono quasi 10 anni che facciamo questa vita: da soli tutto si supera ma quando ci sono dei figli questa lontananza si sente molto di più e non è’ facile da sopportare. Ci facciamo forza al solo pensiero che ogni giorno che passa è un giorno in meno da passare a distanza, e il suo ritorno è sempre più vicino anche se per solo un week end.
Spero che le nostre storie possano servire a far mettere una mano sul cuore a tutte quelle persone che dall’alto della loro posizione istituzionale, potrebbero fare qualcosa ma non lo fanno.”
Ricordiamo per chi volesse sostenere la causa del RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE, che è possibile farlo sottoscrivendo la petizione a questo link: https://www.change.org/petitions/ricongiungimento-familiare-delle-forze-armate
Gli autori della petizione, familiari di militari che vivono in prima persona questa problematica, hanno anche realizzato un blog – http://ricongiungimentofamiliare.blogspot.it/p/blog-page.html – per sensibilizzare le Istituzioni e l’opinione pubblica, attraverso la raccolta di testimonianze di altre famiglie coinvolte nel problema, perchè come diciamo sempre anche noi: INSIEME SI PUO’ FARE LA DIFFERENZA!
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