Stress e dintorni: non solo PTSD!

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Stress e dintorni: non solo PTSD!

 
Sarebbe tutto più facile se con il tempo tutti imparassero ad assimilare dalla propria esperienza successi ed errori e, sulla base di ciò, riuscire a vedere il mondo attraverso nuovi occhi. Nell’ultimo periodo ci capita sempre più spesso di trovare reticenza e disagio di fronte alla parole stress, che se fosse possibile  vorremmo sempre attribuirla ad altri,  soprattutto nel campo militare o comunque con chi lavora dentro e dietro una divisa. Stress: una parola ostile, figuriamoci se a parlarne è una psicologa.
“Quanti uomini segue dottoressa?”
“Potrebbe dirmi solo se alcuni di essi sono miei?”
Ultimamente lo sento dire spesso, e sempre più spesso devo ripetere che no, mi dispiace ma non posso, sono vincolata da un segreto professionale, lavoro per la tutela dei miei assistiti, e qualora pensassi che inficiasse il loro operato sarei la prima a chieder loro di parlarne ai superiori.
E categoricamente questo non avviene mai, anzi è spesso necessario nascondere i primi sintomi di uno stress che, gli americani ci insegnano, appartiene al processo evolutivo del ciclo dell’incarico.
Combat stress lo chiamano, ma non è cattivo, vi assicuro, è solo un accumulo di adrenalina, noia, distanza, cambiamenti climatici, cambiamenti di quotidianità e forse un po’ di pensieri su cosa farà la famiglia in Italia, unitamente a ideali spesso calpestati, a realtà immaginate e poi vissute che a volte lasciano il segno.
Passa… Lo dico sempre …  “se passa in questi mesi, è come ti dico io, tutto rientra nel processo di normale riadattamento al vivere quotidiano,  se non passa ne parleremo più in là.”
E qualcuno invece dopo aver capito che passa ed è normale ha voluto raccontarlo a qualche amico e adesso ritorna da me e mi dice che i colleghi pensano che sia matto.
Le cadute non sono ammesse, devi rimanere sempre in piedi e non puoi aver paura, ne tristezza, ne ansia. Quella fa parte di un posto che non conoscono,  perché sono spesso considerati elementi di disequilibrio, inabilità. Ci vuole coraggio anche per raccontare una fase, un periodo anche superato, perché rischi di rimanere triturato dagli ingranaggi, dalla necessità di scaricare responsabilità, da quello spauracchio che si chiama “causa di servizio”, se mai a qualcosa può valere. Nella pratica clinica, da giovane terapeuta pensavo, che il combat stress fosse un punto di partenza di un disagio più complesso, poi ho capito che il più delle volte è il normale processo di dissesto di un quadro psicologico assolutamente in equilibrio. Un processo di intossicazione psichica che necessita del suo periodo di depurazione, proprio come quello che accade al nostro fisico. Cibi indigesti necessitano di più tempo per essere digeriti ed espulsi nelle loro tossine. C’è un gradino più in basso, quello dove i nostri sistemi protettivi vacillano, dove resilience e coping sono stati disarmati da stimoli eccessivamente aggressivi ed ostinati. È il gradino in cui il combat stress rende le armi a un disturbo post-traumatico più invasivo, disturbante, destabilizzante. Ed è in tali casi che il disagio si allarga al sociale, al quotidiano, e i sistemi di reazione e attivazione sono sempre ai massimi livelli. Qui dovremmo fermarci e chiedere a noi stessi, per la nostra e altrui incolumità se siamo ancora all’altezza del compito che stiamo svolgendo.

Proprio al confine tra questi due gradini, nello spazio che intercorre tra i due livelli che ho incontrato, si trovano le storie più importanti, quelle che mi hanno insegnato che i quadri clinici sfumano, le personalità rigidamente formate ad un’allerta costante di molti di questi uomini e donne possono fuorviare, a volte tradire il giudizio, e gli ideali di quei pochi ma forse solo i più sensibili, che hanno scelto di indossare la divisa, li portano al rischio più grande: raccontare di sé ciò che, poi imparano a loro spese, è molto meglio tacere.

Oltre al PTSD classico è stata anche proposta la classificazione del sottotipo DESNOS (Disorder of Extreme Stress – Not Otherwise Specified) ai fini di un eventuale inserimento nel futuro DSM-V.
Il DESNOS sarebbe una sindrome caratterizzata da sintomi particolarmente gravi e persistenti, spesso correlati con un preesistente Disturbo di Personalità.
Noi non siamo pronti. Non siamo pronti a recepire tale ulteriore evoluzione, non siamo pronti a riconoscerne i sintomi figuriamoci ad accoglierli. Noi non siamo l’America è vero. I nostri soldati non sono impegnati in turni massacranti di incarico all’estero, né combattono in prima linea. I nostri livelli di delinquenza non sono tali da portare i nostri poliziotti e carabinieri a confrontarsi spesso con eventi di intensità d’allerta massima.
Per tutti quei momenti per cui penso che non ne valga la pena, in tutti quei periodi in cui devo confrontarmi con ignoranza e paura, avidità ed egoismo, penso a quanti invece nel silenzio e nel l’accoglienza del mio studio hanno lottato contro se stessi e ne sono usciti vincitori.
E allora penso che ne valga sempre la pena.
 
 
 
 
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By |2018-07-31T16:20:54+02:00Settembre 30th, 2015|Categories: Esperti|Tags: , , , |0 Comments

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