Sulla fenomenologia del suicidio: analisi psicologica degli eventi del 2019 di Rachele Magro e Matteo Paciotti

///Sulla fenomenologia del suicidio: analisi psicologica degli eventi del 2019 di Rachele Magro e Matteo Paciotti

Sulla fenomenologia del suicidio: analisi psicologica degli eventi del 2019 di Rachele Magro e Matteo Paciotti

Glii eventi che si sono verificati nel 2019 descrivono un trend in evidente crescita.

Estraendo i dati dall’Osservatori sui suicidi in divisa possiamo pertanto registrare questa distribuzione senza volerne attribuire una valenza scientifica o statistica ma per favorire solo nuovi spunti riflessivi 

ARMA 2019  
Penitenziaria 11 16,42
Polizia 18 26,87
Polizia locale 5 7,46
carabinieri 17 25,37
Forze Armate 9 13,43
Finanza 6 8,96
vigili del Fuoco 1 1,49
totali 67  

il fenomeno dei suicidi appare  devastante e affligge i comparti di difesa e sicurezza: i numeri ci raccontano di 67 suicidi nel 2019. Tuttavia consideriamo questo un dato parziale perché molti eventi suicidari non appaiono nella stampa (fonte principale dell’Osservatorio ) per volere delle famiglie. Già nel primo mese di questo nuovo anno un notevole aumento del fenomeno con 7 suicidi a fronte dei soli  3 verificati a gennaio 2019.

L’unico dato a nostra disposizione per effettuare un confronto per le forze armate e i carabinieri è quello del 2011 (La Relazione sullo Stato della disciplina militare e sullo stato dell’organizzazione delle forze armate)

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Tendenza preoccupante che richiede un’analisi oggettiva e soprattutto scevra da “verità di comodo” che tendono a nascondere il problema

La fenomenologia del suicidio nelle forze armate e nelle forze dell’ordine presuppone un’attenta osservazione di tutte le caratteristiche che contraddistinguono il soggetto che decide di togliersi la vita. Dai dati relativi all’anno 2019 (Osservatorio Suicidi in divisa- Cleto Iafrate) si osserva come il profilo dell’età si concentra con una particolare frequenza sulla prima età adulta e l’età adulta. Due tappe evolutive fondamentali nella crescita e nel consolidamento della propria identità e immagine personale.

In questa prospettiva il comportamento suicidario rivela la propria genesi in un profondo stato di prostrazione che il soggetto sviluppa a causa delle difficoltà lavorative; questa ipotesi individua il professionista in divisa come un soggetto estremamente a rischio, proprio perché nella divisa e nel corpo organizzativo al quale afferisce attribuisce quella necessità di stabilità identitaria  che nei momenti legati alle dinamiche lavorative   , subisce uno sfasamento e un annebbiamento. U60 2 3,03 ? 5 7,58 ” v:shapes=”_x0000_s1033″>n  intenso disagio psicologico che investe in pieno la sfera professionale; questo accade  perché il mancato riconoscimento del disagio nel contesto di lavoro rappresenta la negazione del senso di appartenenza e di conseguenza una ferita del proprio senso d’identità.

L’arco di vita dai 30 ai 55 anni identifica soggetti con alti livelli di professionalità e maturità, soggetti nella maggior parte dei casi inseriti e integrati nel proprio sistema organizzativo e che evidentemente ad un certo punto della loro vita vivono un impatto devastante nei confronti della propria integrità personale. Nel momento in cui si consolida l’ evento critico l’integrità del soggetto subisce pressioni frammentarie che non trovando un supporto nel contesto organizzativo  gettano l’individuo in un profondo incubo fatto di perdita d’identità attraverso lo scollamento progressivo tra il se e la propria organizzazione lavorativa.

Casella di testo: Frequenza suicidi per fascia d'età età F 20-29 2 3,03 30-39 12 18,18 40-49 24 36,36 50-59 21 31,82 />60	2	3,03<br />
?	5	7,58</p>
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<p>I dati rappresentati nel grafico, ci indicano due aspetti molto importanti il primo, già esplicato, restituisce nel complesso una percentuale molto alta di professionisti nel pieno della propria attività decidere di togliersi la vita, l’altro è un drammatico 8% di dati poco chiari o non pervenuti che non permettono di avere una più ampia visione della problematica e di conseguenza sviluppare tutti gli interventi di prevenzione necessari.</p>
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Tra i principali indicatori nel disturbo da comportamento suicidario possiamo annoverare la metodologia con cui tale comportamento viene messo in atto. Macroscopico appare il dato che indica come il metodo violento sia il principale utilizzato dai suicidi all’interno delle forze armate e delle forze dell’ordine.

Casella di testo: Frequenza suicidi per metodo Fascia d’età F F% Metodo Violento 59 89,39 Pistola 43 70,49 Defenestrazione 5 8,20 Impiccagione 9 14,75 Altro 2 3,03 Metodo Non Violento 1 1,52 NP 4 6,06 Totale 66 100,00 Molti sono i temi che si aprono in questa direzione e il principale ed incontrovertibile è la totale assenza di prevenzione nei confronti del disagio psicologico nelle forze dell’ordine e nelle forze armate. Il professionista in divisa in difficoltà  è un soggetto essenzialmente lasciato solo, e pertanto esposto a tutti i fattori di rischio che inducono alla messa in atto di un comportamento suicidario. Nel dettaglio emerge, come l’arma di servizio sia il mezzo maggiormente utilizzato per compiere l’atto. Oltre alle dinamiche proprie del comportamento, dove gli aspetti pratici e simbolici che caratterizzano l’arma la rendono sicuramente il mezzo migliore per mettere fine al proprio urlo di disperazione, la considerazione maggiore e più gravosa che pesa sul 

profilo organizzativo di tutti i corpi militari e delle forze dell’ordine è in relazione all’inadeguatezza del quadro normativo inerente al disagio psicologico del professionista in divisa
che, nel ritiro dell’arma, presuppone un intervento preventivo atto a valutare la situazione e a sostenere l’individuo nel disagio. Ovviamente la frequenza di utilizzo dell’arma di ordinanza evidenzia come tale prevenzione sia fallimentare e che soprattutto sicaratterizzi per essere tardiva e non risolutiva delle problematiche psicologiche in atto. In questa prospettiva pertanto si colloca l’esigenza di una rinnovata sensibilità ambientale al disagio dell’individuo, al fine di prevenire una cascata di eventi psichici che trascinano il professionista ad una decisione così estrema. Il dolore di disperazione che il suicida esprime è pari all’efficacia del metodo che utilizza per morire. Pertanto in questa prospettiva un aiuto all’interno del proprio contesto organizzativo, è essenziale al fine di rispondere in modo adeguato alle pressioni che la realtà esprime su soggetti ormai stremati. 

La sensibilità pertanto di un peer support, attraverso una rete di relazioni tra dentro e fuori l’organizzazione, costituisce a priori una base sulla quale poggiare l’intervento di sostegno al disagio nel luogo di lavoro, per interrompere il circolo di violenza, solitudine e disperazione che circonda e coinvolge un numero sempre più crescente di professionisti in divisa. Tutti i suicidi verificati nel 2019 possono essere definiti a letalità maggiore perché hanno lasciato poco spazio per il soccorso e dunque la probabilità di riuscire nell’intento era decisamente più alta. Il dato riportato in base al genere dell’appartenenza all’organizzazione è chiaramente rapportato alla divisione del personale in divisa all’interno dell’amministrazione stessa con una prevalenza più ampia del genere maschile.

 

I dati elaborati in relazione al grado sono chiaramente limitati dalla percentuale dei dati non pervenuti e non detraibili dagli organi di stampa sui quale tale indagine è stata costruita, per ovvi motivi assume pertanto il valorae iniziale di un’indagine al momento solo parzialmente attendibile.

Andando a studiare i dati purtroppo di nostra conoscenza possiamo sostenere che in alcune di queste storie, i segnali d’allarme erano chiari: abuso di alcol, precedenti ricoveri psichiatrici, brevi sospensioni dal servizio per difficoltà psicologiche, difficoltà in ambito lavorativo, separazioni, distanza dal nucleo familiare d’origine.Rischiare di perdere il lavoro e affrontare una conseguente crisi economica in un contesto di vita in cui lavorare è una necessità per sopravvivere; quasi una regola tesa a definire il senso di realizzazione di una identità costruita anche con sacrificio e sofferenza e la cui decadenza determina vergogna, emarginazione e un aumento del rischio di suicidio.Frustrazione, vergogna, hopelessness rappresentan quella disperazione che porta a pensare al suicidio come unica soluzione possibile; conclusione di un percorso di sofferenza e devastazione, in cui probabilmente l’evento critico ha scatenato l’atto impulsivo che si è però insinuato in una strada in cui la mente non ha trovato strade alternative al dolore.Solo quando la mente è a lungo sottoposta a un’insopportabile sofferenza il suicidio è considerato un’opzione. In realtà essendo noi come essere umani dotati di abilità di problem solving cerchiamo costantemente di attivarci verso la sopravvivenza, l’attivazione di un pensiero rigido e privo di abilità strategiche offusca il senso di sé.Possiamo pertanto confermare che non esiste un unico motivo. Lo Stesso Pompilli ci insegna che “dichiarare una causa per suicidio alla depressione o a motivi familiari rischia di determinare  classificazioni frettolose e piuttosto discutibili.”Ogni suicidio è una storia unica, e i motivi non possono essere categorizzati, nessun singolo fattore, è stato dimostrato, è necessario o sufficiente a provocare il suicidio.Dai tempi di Durkheim agli attuali studi del Prof Pompili, molto ormai si conosce del fenomeno in  sé, la letteratura ci spiega meccanismi , fattori di rischio e di protezione del sé.Il desiderio suicidario è determinato dalla presenza di due fondamentali costrutti: il senso di mancata appartenenza  (“io sono solo”),bisogno psicologico di base maslowiano,  e la sensazione di sentirsi un peso, di gravare sulla propria famiglia e sulla società  (“io sono un peso”).I processi a carico della prevenzione non solo primaria ma anche secondaria devono necessariamente accedere a tutte le aree di riflessione del fenomeno affinchè gli interventi possano essere efficaci e duraturi nel tempo .

 

 

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